I poeti di corte del Man’yōshū (万葉集 VIII secolo circa)erano profondamente influenzati dalla natura e sia i loro poemi d’amore che le elegie lo riflettono. “Kachōfūgetsu” era la raison d’etre dell’amore, “sansensōmoku” della tristezza. La natura era sempre una proiezione dei sentimenti umani, mai il contrario. Questi poeti erano ovviamente sensibili alla natura e al rincorrersi delle stagioni, ma la “natura” era sempre interpretata in modo molto restrittivo e si tendeva ad ingabbiarla in immagini convenzionali. Ci sono molte poesie sulla luna, un fenomeno naturale, ma ben poche sul sole e sulle stelle – fenomeni altrettanto naturali. Il mare era un qualcosa di limitato, ad uso di piccoli scafi e di barche per diletto, non il vasto oceano che le grandi navi dirette alla Cina dei Tang dovevano affrontare. Per questi poeti la natura non era un mondo immenso e selvaggio, ma un ambiente racchiuso, dolce e intimo. Il Man’yōshū è, per la maggior parte, una collezione di poesie d’amore nelle quali essi confidavano i loro sentimenti alla natura.
L’espressione Kachōfūgetsu (letteralmente: fiori uccelli vento luna 花鳥風月) è molto spesso reso tout court con “natura” ma nello specifico indica il rapporto con la natura che sottende uno stato gioioso oppure contemplativo dell’animo in contrapposizione a sansensōmoku (lett. monti fiume erbe alberi 山川草木) che provoca una sensazione di tristezza.
fonte: Storia della Letteretura Giapponese di Katō Shūichi a cura di A. Boscaro, Marsilio Editore.